Cos’è la dislessia? Si può guarire?

Fu Pringle Morgan, medico inglese di fine Ottocento, a dare una prima descrizione della dislessia (allora chiamata “cecità verbale”): il giovane dottore rimase affascinato dal caso di un ragazzino di 14 anni, molto intelligente e portato per la matematica, che faceva però una grossa fatica a imparare a leggere.
La dislessia, infatti, è proprio questo: una difficoltà apparentemente insormontabile nel leggere le parole scritte.
Non si tratta di un disturbo recente (la diagnosi di Morgan era del 1896) e non è nemmeno vero che la dislessia sia molto più diffusa ora di qualche decennio fa: semplicemente, quei bambini che un tempo venivano etichettati come “pigri/poco studiosi” molto spesso nascondevano una vera difficoltà non individuata.
Ma come si riconosce la dislessia? Il primo e più importante segnale è la difficoltà a imparare a leggere che si manifesta nei primi anni della scuola Primaria: i bambini dislessici vedono le lettere “sparire” sul foglio, precipitare o “spezzarsi”. Tra i metodi compensativi che si possono mettere in atto per migliorare il loro “problema”, vi sono due soluzioni molto semplici: usare un font privo di grazie (come Arial o Verdana) e aumentare il distanziamento tra le lettere. Questi due immediati accorgimenti possono aiutare i ragazzi dislessici a ridurre il proprio disagio di fronte alla parola scritta.
Ma dalla dislessia si può “guarire”? Sicuramente, la neurodiversità che determina la dislessia non è reversibile: non si tratta di una malattia, ma di una caratteristica intrinseca dell’individuo, quindi non modificabile. Tuttavia, le difficoltà che il dislessico incontra si riducono a mano a mano che cresce, se vengono adottati per tempo i metodi compensativi che oggi conosciamo.